IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI Sciogliendo la riserva nel procedimento penale n. 37/1993, nei confronti di Ronga Pasquale, Reina Bruno, Beraudo Raffaello, imputati: a) il Ronga del delitto p. e p. dell'art. 73, primo comma, del d.P.R. n. 309/1990 e 81 cpv. per aver detenuto e venduto con piu' attuazioni di unica risoluzione, rilevanti quantita' di stupefacente a base di eroina e Reina Bruno, e mediamente gr. 25 per volta e con frequenza settimanale e su pagamento di L. 140.000; b) Ronga P. e Reina B. del delitto p. e p. dagli artt. 110 del c.p. e 73, primo comma, del d.P.R. n. 309/1990, per avere in concorso tra loro venduto a Beraudo Raffaello gr. 15 di sostanza stupefacente a base di eroina (detenuti dal Ronga e venduti con la mediazione del Reina, al Beraudo su corrispettivo di L. 180.00 al grammo); c) il Reina B. del delitto p. e p. dagli artt. 81 cpv e 73, primo comma, del d.P.R., n. 309/1990 per aver detenuto a scopo di commercio lo stupefacente sub a) e per averlo venduto a persone imprecisate ed a Beraudo Raffaello; d) Beraudo Raffaello, del delitto p. e p. dagli artt. 81 cpv. del c.p. e 73, primo comma, del d.P.R. n. 309/1990, per avere con piu' azioni di un'unica determinazione, detenuto a fine di commercio lo stupefacente descritto sub b) e sub c) e per averlo venduto in piu' occasioni a persone imprecisate. Ha pronunciato la seguente ordinanza, osservando al termine delle indagini preliminari il p.m. chiedeva il rinvio a giudizio degli imputati Ronga Pasquale, Reina Bruno, Baraudo Raffaele in ordine ai reati come sopra loro contestati. Alla udienza preliminare del 27 aprile 1993 compariva il solo Beraudo, il quale, previa separazione dei giudizi, veniva giudicato secondo il rito abbreviato e condannato alla pena di anni tre, mesi sei e giorni 20 di reclusione, nonche' L. 25.000.000 di multa. In limine alla successiva udienza preliminare, fissata il giorno 24 settembre 1993 a seguito di alcuni rinvii determinati dall'impossibilita'a comparire degli imputati, la difesa del Ronga o che rifiutava di comparire benche' regolarmente tradotto dalla casa circondariale di Pisa - chiedeva che il processo venisse definito in tale sede, ex art. 439, secondo comma, del c.p.p. ed il p.m. si riserva di prestare il consenso. Contemporaneamente il Reina, con il consenso del p.m., chiedeva l'applicazione della pena di anni due di reclusione e L. 10.000.000 di multa. Il g.i.p., disposta nuova separazione del processo ex art. 18, secondo comma, del c.p.p., con successiva ordinanza rigettava la proposta, non ritenendo congrua la pena in relazione alle risultanze degli atti processuali a carico del Reina, giusto il richiamo all'art. 444 del c.p.p., cosi' come integrato dalla sentenza n. 313/1990 della Corte costituzionale. La difesa, conseguentemente, chiedeva, con l'adesione del p.m., procedersi col giudizio abbreviato; il g.i.p., ritenuto che il processo potesse essere definito allo stato degli atti, accoglieva la richiesta. A questo punto, tuttavia, la difesa eccepiva l'incompatibilita' del g.i.p. a partecipare al giudizio, richiamandosi alla sentenza n. 399 del 26 ottobre 1992 della Corte costituzionale. In relazione a tale eccezione, questo giudice preliminarmente rileva che - come comunemente ritenuto anche nel vigore del codice previgente - le cause di incompatibilita' sono solo quelle indicate dalla legge, sicche' le norme che le prevedono non sono suscettibili di interpretazione estensiva, ne' analogica. Ne' tantomeno, appare possibile e conforme al sistema un'interpretazione estensiva od analogica delle numerose sentenze della Corte che si sono occupate del tema dell'incompatibilita' di cui all'art. 34, secondo comma, del c.p.p., cosi' come invece prospettato dalla difesa dell'imputato. Nessuna di tali pronunce (nn. 496/1990, 401 e 502 del 1991, 124, 186 e 391 del 1992), a quanto consta, ha investito la norma citata nei termini qui considerati. Peraltro, proprio dall'esame di queste ultime, ed alla luce del caso in esame, discendono ulteriori dubbi sulla costituzionalita' dell'art. 34, secondo comma, del c.p.p. In proposito, giova ricordare come la Corte, fin dalla sentenza n. 313/1990 abbia chiarito come l'applicazione della pena concordata ai sensi dell'art. 444 del c.p.p. presupponga un giudizio di insussistenza delle condizioni che possono giustificare il proscioglimento nel merito ai sensi dell'art. 129 del c.p.p.; comporti una valutazione non soltanto di legittimita', ma anche di merito circa la correttezza della definizione giuridica del fatto e circa la sussistenza di circostanze attenuanti o aggravanti ed il loro bilanciamento; implichi, infine, che "il giudice possa valutare la congruita' della pena indicata dalle parti, rigettando la richiesta in ipotesi sfavorevole di valutazione" (Corte costituzionale n. 313/1990)". La giurisprudenza della Corte, d'altro canto, ha provveduto ad ampliare il contenuto dell'art. 4, secondo comma, del c.p.p., stabilendo, tra gli altri, il principio giusto il quale l'incompatibilita' va ravvisata (e circoscritta) ai casi di duplicita' di giudizio di merito sullo stesso oggetto. "In essi - si e' osservato - il rischio che la valutazione conclusiva di responsabilita' sia o possa apparire condizionata dalla propensione del giudice a confermare una propria precedente decisione e' cosi' pregnante da poter concretamente incidere sulla garanzia di un giudizio che sia il frutto genuino ed esclusivo di elementi di valutazione e di prove assunte nel processo e del dispiegarsi della difesa delle parti" (Corte costituzionale n. 124/1992). Orbene, appare evidente a questo giudice come tutte le considerazioni che precedono, in tema di "patteggiamento" da una parte e di incompatibilita' dall'altra bene si attaglino alla vicenda in esame, specie ove si consideri che l'ordinanza con cui e' stata rigettata la richiesta di applicazione pena ai sensi dell'art. 444 del c.p.p. presuppone che siano state risolte in senso positivo tutte le questioni che precedono in senso logico quella relativa alla congruita' della pena, concernenti tanto la insussistenza di ragioni tali da giustificare il proscioglimento ex art. 129 del c.p.p., quanto la sussistenza dei presupposti di una condanna sulla base delle risultanze delle indagini preliminari. Non solo. Proprio l'aver ritenuto la pena non congrua (presentata, peraltro, nei limiti massimi di estensione consentiti dalla legge) ex art. 444 del c.p.p., implica che accanto alla valutazione di merito si e' accompagnata l'altra, circa l'applicabilita' di una pena superiore a quella prospettata. Ne risultano violati, pertanto, gli artt. 76 e 77 della Costituzione per contrasto con i principi ispiratori di cui alla direttiva 76 (art. 2) della legge delega 16 febbraio 1987, n. 81; il principio della terzieta' del giudice e della sua soggezione soltanto alla legge (artt. 25 e 101 della Costituzione); il principio di uguaglianza (art. 3 della Costituzione), dal momento che, alla luce dei precedenti interventi della Corte costituzionale, casi analoghi finiscono con l'essere trattati in misura diversa. A quest'ultimo proposito elementi comuni alla situazione qui esaminata possono essere individuati nelle sentenze n. 502/1991 e 186/1992. In particolare nella prima delle pronunce richiamate, la quale ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 34, secondo comma, del c.p.p. nella parte in cui non prevede l'incompatibilita' a partecipare al giudizio (da intendersi in senso ampio, cfr. sentenza n. 401/1991 ed ordinanza n. 180/1992) del g.i.p. che ha rigettato la richiesta di decreto di condanna, vengono affermati principi, parte dei quali in precedenza riportati, che ben si prestano ad essere applicati al caso in esame, principi successivamente richiamati anche dalla sentenza n. 186/1992. Quest'ultima, peraltro, in motivazione dichiara l'illegittimita' dell'art. 34, secondo comma, del c.p.p. "nella parte in cui non prevede l'incompatibilita' a partecipare al giudizio del giudice che abbia rigettato la richiesta di applicazione di pena concordata ex art. 444 del c.p.p.", senza ulteriori specificazioni. Il dispositivo, tuttavia - cosi' come corretto dall'ordinanza n. 313/1992 - fa espresso riferimento al giudice del dibattimento e non al giudice delle indagini preliminari, il quale, con particolare riguardo al g.i.p. presso il tribunale, fin dal momento della richiesta di rinvio a giudizio ha piena conoscenza di tutti gli atti contenuti nel fascicolo del p.m. Si rende, pertanto, ad avviso di questo giudice, necessaria una pronuncia da parte della Corte costituzionale in punto, onde stabilirne, anche attraverso una pronuncia di manifesta infondatezza, la compatibilita' o meno per la prosecuzione del giudizio che allo stato viene sospeso. Il dubbio circa la costituzionalita' dell'art. 34, secondo comma, del c.p.p., infine, permane e non puo' dirsi superato anche qualora si ritenga che, proprio dalla piena conoscenza degli atti e dall'esame delle risultanze dell'indagine preliminare, discende una valutazione unitaria del fatto, degli elementi a carico dell'imputato, della congruita' della pena eventualmente da comminare, valutazione con cui successivamente si vengono a confrontare le richieste di riti speciali e che non comporta necessariamente una duplicita' del giudizio di merito sul medesimo oggetto.